Il Jurassic Park Pontino: uno sguardo geologico al nostro paesaggio

FONTE:http://bcomebrain.altervista.org/blog/2013/02/il-jurassik-park-pontino-uno-sguardo-geologico-al-nostro-paesaggio/#more-539

L’Agro Pontino è un territorio in continua evoluzione; quello che si palesa ai nostri occhi è solo il frutto di milioni di anni di cambiamenti, ad esempio gli sconvolgimenti climatici o i movimenti della crosta terrestre. Questi ultimi sono proprio i principali fattori che hanno contribuito alla formazione della catena montuosa degli Appennini e della pianura pontina per come noi la conosciamo. Nel corso degli anni, il paesaggio del nostro territorio ha cambiato più volte morfologia e abitanti.

Assieme, cercheremo di visualizzare alcuni dei paesaggi preistorici che hanno caratterizzato il nostro territorio per milioni di anni, partendo da Latina fino ad arrivare ai Monti Lepini. Potremmo averne delle sorprese!

LE ALTURE DI CACCIA DEI NEANDERTALIANI

Il territorio che circonda la nostra città è relativamente giovane, geologicamente parlando; la zona dove è stata fondata Latina è formata principalmente da sabbie dunari del periodo Pleistocene-Olocene, ovvero risalenti all’incirca a 2,6 milioni di anni fa, quando tutta la pianura pontina era sommersa dall’acqua, mentre il monte Circeo si presentava come un vero e proprio isolotto!

PREISTORIA AGRO PONTINO 1

La mitica isola di Eea cantata da Omero nell’ Odissea, dimora della maga Circe, è quindi realmente esistita! (anche se possiamo dubitare del fatto che Ulisse vi possa aver mai messo piede).

Solamente circa 2,5 milioni di anni più tardi i mari iniziarono a ritirarsi lasciando riemergere ampie aree pianeggianti che, nel pleistocene inferiore, incominciarono ad essere abitate dall’uomo primitivo; infatti, tra i 700.000 e i 35.000 anni fa, un nostro lontano parente camminava nella pianura pontina: l’Homo neanderthalensis.

Numerose sono le tracce del passaggio di questo ominide nella pianura pontina: punte di lance, asce a mano, raschiatoi in pietra selce e diversi manufatti per la caccia;

AMIGDALA

alcuni utensili e monili di diversa fattura sono stati ritrovati anche in località Cicerchia (Latina), a poche centinaia di metri dal Fogliano che, nel Pleistocene superiore, a differenza di come si potrebbe pensare, si sarebbe presentato probabilmente come un’altura o un territorio collinare, pieno di vegetazione. Pensate che se vi foste ritrovati a passeggiare, nel Paleolitico, in queste zone avreste potuto assistere a  battute di caccia condotte da uomini primitivi, o magari avreste potuto assistere, ad una ipotetica scoperta del fuoco!

I neanderthalensis, per la costruzione dei loro utensili per la caccia, ad esempio le punte di lancia, utilizzavano una particolare roccia sedimentaria: la selce; quest’ultima veniva lavorata mediante la tecnica della scheggiatura, che consisteva nello scheggiare o nello sfregare la pietra con ossi o con un’altra roccia dello stesso tipo. Proprio durante questa lavorazione, si può pensare che i nostri antenati abbiano acceso il primo fuoco, in quanto una particolare varietà di selci, dette selci piromache (pietre focaie) possiedono la proprietà di produrre scintille, se sfregate con forza (come i recenti acciarini); perciò, a contatto con della pagliuzza, in assenza di vento, queste scintille avrebbero potuto innescare un fuocherello!

Da un’analisi condotta in vari siti europei, è stato scoperto che i neanderthalensis possedevano le conoscenze per poter accendere un fuoco e per controllarlo, già 400 mila anni fa!  Tracce di questi focolai primitivi sono presenti anche sul nostro territorio, ad esempio in alcune grotte del Circeo , dove sono stati rinvenuti carboni e residui di pasti, a testimonianza dello stile di vita di alcuni dei primi residenti pontini.

Spostandoci verso sud-est, sul promontorio del Circeo, troveremo ulteriori prove del passaggio del Neanderthalesis sul nostro territorio: tra queste citiamo il celebre “cranio del Circeo”,  rinvenuto nella grotta Guattari (Monte Circeo), e attualmente visibile al Museo nazionale preistorico etnografico “Luigi Pigorini” di Roma.

TESCHIO NEANDERTHALIl ritrovamento avvenne nel 1939 ad opera del Prof. Alberto Blanc. il cranio in questione era posto al centro di un “cerchio rituale” in pietra, e presentava il foro occipitale allargato in modo anormale; il professor Blanc, esaminando il cranio, giunse alla conclusione che erano stati proprio altri uomini di neanderthal ad allargare questo foro, per praticare, forse, un atto di antropofagia rituale. Solamente cinquant’anni più tardi il Professore smentì questa teoria in un convegno tenuto nella località del ritrovamento, in quanto altri studiosi, con un’analisi più approfondita, non trovarono sul cranio segni di utensili, con i quali altri uomini primitivi avrebbero potuto allargare il foro occipitale: gli unici segni che vennero riconosciuti furono quelli della dentatura di una iena! Di questa curiosa storia e dell’ipotesi del cannibalismo del professor Blanc parla anche lo scrittore pontino Antonio Pennacchi, nel suo libro “Le iene del Circeo”. Un ulteriore particolarità di questa grotta, rimasta chiusa per più di 70mila anni, era il suolo letteralmente cosparso da ossa di iena, di leoni , di elefante, di cervo e di altri animali più recenti dell’ultimo periodo interglaciale, stando alle testimonianze del professor Blanc. Pensate quindi che in quel periodo il paesaggio delle coste pontine assomigliava senza dubbio alla savana africana di oggi, con i personaggi de “il re leone” al gran completo!

L’ Agro Pontino nasconde tra i suoi colori molti altri paesaggi preistorici, nella prossima pubblicazione scopriremo come si sarebbe presentato il nostro territorio 100 milioni di anni fa!

Riccardo Gasbarrone

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