Storie dolorose di guerra di Angelo Pelagatti
Eh si..!! Francesco aveva deciso…! Tra la guerra partigiana di montagna o l’arruolamento d’Ufficio, aveva stabilito quest’ultimo. Era stato chiamato alle armi, reclutato alla leva militare imposta dal Generale Rodolfo Graziani, Ministro delle Forze Armate nel 1944.
Chiamato a far parte di un nuovo esercito che non aveva cognizione di quale nemico combattere e quale bandiera servire. Però aveva scelto in quel modo, perché non gli sembrava bello essere renitente alla leva, ed essere considerato un disertore.
Non gli pareva bello tradire i principi del padre, colonnello degli Alpini, disperso in Russia nel 1943. Insomma non gli pareva bello tradire…. e quindi , in quel momento di confusione, preferì scegliere la cosa più difficile, presentarsi per servire la Patria, la propria Terra. Aveva ascoltato il suo cuore…
Cosi a 22 anni, appena laureato in giurisprudenza, dopo il corso ufficiali della durata di sei mesi, completato presso il campo di Muenzingen in Germania, si ritrovò dentro un uniforme grigioverde, di un grigio nuvoloso e bizzarro di alta quota e un verde color mantello di montagna. Indossava un cappello con la penna nera, uguale a quello indossato da suo Padre e al centro dello stesso, il fregio militare: un Aquila dorata.
L’Aquila..! Il Simbolo degli alpini, quelli che arrivarono a piedi là dove giunse soltanto la fede alata. Il divino volatile che poteva guardare il sole senza abbassare gli occhi. L’Aquila dorata, sacro e superiore per forza.
Le mostrine verdi manifestavano la sua specialità: Divisione Alpina Monterosa. La sua dotazione personale era composta da una pistola semiautomatica berretta calibro 9 corto modello 1934, un pugnale-baionetta. Dal bordo inferiore delle maniche della giacca e sul cappello, risaltavano i distintivi dorati che marcavano forte il suo grado: sottotenente. Sulla parte destra della giacca anche il distintivo del suo addestramento in Germania.
Avrebbe preferito combattere su altri fronti, magari in mare ,ma il destino inspiegabilmente, quando desideri una cosa, è incomprensibile. Diventa sempre avverso, ai desideri dell’uomo. Fu inviato in montagna a combattere la resistenza partigiana. Era alla testa di giovani di leva . Un plotone formato da un Sottufficiale di carriera di 24 anni : Sergente maggiore e ventitrè militi di leva , tra i 20 e 23 anni.
Quella notte, sul quella montagna, era stato comandato in appoggio di altri compagni d’armi Doveva essere una perlustrazione. Si doveva bloccare il dinamismo dei guerriglieri della resistenza partigiana di quella zona di altura. Quella fu la notte in cui vide per l’ultima volta il giorno.
All’improvviso, mentre stavano salendo, in un spiazzo, un prato, un pascolo aperto, iniziarono i crepitii delle mitragliatrici dei partigiani e, in un momento, in quel buio funesto, fatto di fuoco, di grida , di sangue e di dolore, fu l’orrore. Caddero gran parte dei suoi “ragazzi”. Il plotone in quell’oscurità venne quasi decimato. I morti erano disseminati tra l’erba verde della grande montagna, che si era tinta di rosso scuro.
Dovevano sorprendere e invece, non si sa come e perché, furono sorpresi. Qualcuno li aveva traditi passando alla resistenza informazioni su quel battuta notturna. I partigiani stavano aspettando quei soldati e quando li videro arrivare, in quello spazio libero senza alberi e senza possibilità di rifugio, iniziarono a sparare massacrandoli quasi tutti senza pietà. Un tragico tiro al “piccione”, ma quelli non erano piccioni, ma giovani ragazzi di leva.
Vennero presi prigionieri, furono legati e rinchiusi in un cascinale. Il Comandante partigiano, nome di battaglia Primula era un veterano di guerra, maggiore degli alpini, aveva combattuto in Russia. Lui riuscì a tornare da quell’inferno e dopo l’8 settembre del 1943, si diete alla macchia e diventò in quella confusione politico – sociale – militare, parte della resistenza.. Quando il Comandane Primula entrò all’interno del cascinale, vide quel sottotenente. Giovanissimo, un ragazzo molto magro, ma non mostrava segni di paura.
Era ferito alla testa, e sanguinava sul volto. Dai lineamenti del viso , gli ricordava qualcuno. Lo interrogò e gli chiese chi era. Francesco risposte formalmente:” Sottotenente della 1^ Divisione Alpina Monterosa Francesco Lappi” e continuo con il suo numero di matricola.
Il Comandante partigiano appena udì quel nome resto senza fiato. Aveva davanti a se il figlio del proprio amico, Colonnello Lamberto Lappi , Comandante del reggimento Alpini dell’8^ Armata Italiana in Russia. Era davanti ai suoi occhi e doveva decidere quando fucilarlo insieme agli altri militari.
Lo interrogò tutta la notte ma l’unica informazione che Francesco diete al Comandante, fu il suo nome il suo cognome il suo grado e il suo numero di matricola. Il Partigiano, soldato di vecchia data, nel veder il figlio del proprio amico davanti a se, avrebbe voluto liberarlo e mandarlo via. Anzi lo avrebbe accompagnato a casa, dalla madre, che conosceva benissimo e dai suoi fratelli già orfani di Padre.
Ma non potè fare nulla, era osservato dal commissario politico inviato dal partito, che tra l’altro , infierì sul corpo di Francesco che non voleva parlare. Quel gesto di crudeltà manifestato dal Commissario politico, nei confronti di Francesco,già ferito alla testa, non andò giù al Primula, vecchio soldato e anziano Alpino.
Prese per la gola il commissario politico e lo schiaffeggio più volte facendogli capire che si combatteva da soldati e no da criminali e che la questione, l’avrebbe risolta lui in modo diverso ma con rispetto delle regole, e senza cattiveria.
La mattina senza nessun processo, il sottotenente Francesco Lappi, insieme ai suoi compagni d’armi, da una scorta di dieci partigiani, armati di mitragliette ,venne accompagnato nella radura vicino al cascinale, Era il plotone di esecuzione. Era stato condannato a morte.
Francesco affrontò quella circostanza con coraggio e serena dignità, senza chiedere nulla. L’unica cosa che chiese fu una penna e un pezzo di carta, dove aveva scritto alla propria madre e lo tenne stretto nella mano.
Il Comandante primula schierò il picchetto, fece accompagnare i condannati a 20 passi da plotone di esecuzione.
Si avvicino ai condannati e bendò loro gli occhi, con un panno colorato di azzurro. Quando arrivò il momento di Francesco, egli rifiutò la benda. Volle affrontare la fucilazione guardando per l’ultima volta il cielo azzurro di quella altura. Il Comandante primula, ritorno presso il plotone di esecuzione e, nel silenzio antico di quella immensa montagna, si udirono gli ordini per la fucilazione :
plotone, attenti..! Caricare..! Puntare..! Fuoco.!
Francesco udì quegli ordini chiari, quanto arrivò l’ordine di fuoco chiuse gli occhi e non li riapri mai più. Era stato attinto al cuore, come il Comandante Primula aveva ordinato ai ragazzi del plotone, morì all’istante. Dopo la scarica dei soldati, il Comandante Primula si avvicino ai corpi dei militari, prese la sua pistola e ad ognuno di loro sparo alla nuca il previsto colpo di grazia.
Quando arrivò al sottotenente, non sparò il colpo di grazia alla nuca di Francesco. Constatò la sua morte, vide nel viso di Francesco non la smorfia crudele della morte, ma solo un sorriso; un sereno sorriso di un voluto incontro con il Padre.
Il Primula gli apri il palmo della mano destra , prese il biglietto che Francesco aveva scritto poco prima e lo lesse. Quella frase diceva : “Perdonatemi..! Sono fuggito dalle scelte più facile, non volevo tradire. Muoio per la mia Terra e per la libertà. Vi ho amato tanto. Addio amata madre, addio fratelli miei ,adesso sono con mio padre..! Francesco”
Il Comandante primula pianse e quel pianto, continuo per tutta la sua esistenza, fino alla sua morte.
(Angelo Pelagatti)