Raccontami una storia di Karen Scalambra

Questa che sto per raccontarvi è la storia dei miei nonni e bisnonni arrivati a Littoria l’Odierna Latina e cercherò di narrarvela con lo stesso amore, la stessa dedizione e passione che loro hanno messo per narrarla a me.

Impresse rimasero nella mia mente le loro prime parole: fame, terra, e poco lavoro questi furono i principali motivi che li spinsero ad emigrare al centro-sud, dove effettivamente vi era bisogno di braccia per bonificare il territorio circostante per apportare a queste zone impaludate un radicale cambiamento, adattando un patrimonio del genere alle loro esigenze ….quello fu uno dei principali scopi!

Precedentemente ve ne erano stati parecchi di tentativi di bonifica ma, nessuno di essi ne fu veramente in grado .

I ricordi vaghi, offuscati fanno da cornice al duro passato di faticoso lavoro.

Ma la cosa più curiosa di tutte è che ad aiutarli a scavare nel passato vi è il buffo taccuino di mia nonna che le era stato regalato per il settimo compleanno dal babbo, su cui annotava ogni minimo particolare.

Giunti a Littoria i nonni si resero conto che la realtà era molto più crudele delle aspettative, anche l’amicizia con gli abitanti del luogo non era delle migliori, ma non fu affatto quello a scoraggiarli.

Mio nonno Ottavio è di origine Ferrarese, lì a Ferrara aveva il podere a mezzadria cioè condivideva vitto, alloggio e raccolto con un’altra famiglia, di solito il proprietario del potere era un nobile o un conte, a cui spettava parte dei frutti del terreno coltivato.

Poi quando scese nell’Agro Pontino gli assegnarono il podere n. 1657 che è quello dove attualmente risiede la mia famiglia.

Mentre a quella di mia nonna assegnarono il podere in cui oggi vi è la rinomata “pizzeria degli Uccelli” con quattro mucche, alcuni animali da cortile, attrezzi per lavorare la terra, sementi e concimi.

La casa aveva una grande cucina al piano terra, un lavatoio al piano di sopra, le camere da letto.

Di fianco alla casa la stalla e il forno in mattoncini di terra corra dove il mio bisnonno preparava il pane tutte le Domeniche mattine.

Per avere un podere bisognava essere un nucleo familiare abbastanza numeroso, infatti loro erano in tredici, mia nonna al mattino si alzava presto e assieme alla mamma preparava i fratelli piccoli per la scuola.

E poi si metteva a sbucciare le fave con lo sgabello di paglia che il padre le aveva costruito appositamente, le fave venivano vendute o barattate con il vicinato.

La nonna fu costretta per motivi economici a frequentare la scuola sino alla terza elementare, ma è stata sempre una grande appassiona di libri, ed ha sempre cercato di arricchire il suo bagaglio culturale ….

All’età di sedici anni contrasse la malaria, la visitò subito un dottore che le somministrò il chinino, il post guarigione fu relativamente duro mi racconta!

Mentre la famiglia del nonno non era molto allargata, quattro fratelli tutti maschi, mio nonno lavorava nei campi gli altri due facevano i carbonai ed il più piccino frequentava la scuola e aiutava a casa.

I carbonai ricevevano poco denaro ma era un modo per arrotondare un poco in famiglia, i loro compagni solitamente scendevano dal Fucinate, dall’Alto Lazio, dalla Toscana lasciavano il loro luogo di origine, le proprie famiglie per pochi spiccioli.

Vivevano in povere capanne, si cibavano quasi esclusivamente di polenta condita e pecorino, era una delle attività umane più faticose.

Il nonno lavorava una terra fertilissima, con le vacche trascinava l’aratro, l’erpice, il rullo tagliava l’erba a mano con la falce.

UNA VITA DI DURISSIMO LAVORO, E SACRIFCI CHE POI VENNERO REALMENTE RICOMPENSATI!

Era il 22 Settembre del 1934 quando Benito Mussolini presidente del Regno d’Italia andò a pranzo nella famiglia di mio nonno, che all’epoca aveva solamente 10 anni.

In casa Scalambra era motivo di grande gioia e festeggiamenti, la nonna aveva apparecchiato con cura il tavolo, la tovaglia del suo corredo matrimoniale ricamata con il pizzo che cadeva sulle estremità, aveva ancora un profumo di nuovo, di giovane ….

Ad aiutarla ci fu anche il fratellino Decimo che aveva appena quattro anni, per lui tutto era divenuto un gioco, scorrazzava per il cortile urlando: “Benito, Benito a pranzo che fortuna”.

Ma in realtà i preparativi per questo grande avvenimento iniziarono molto prima.

Mussolini ed il mio bisnonno si conobbero sulle autolinee del Carso quando stavano sparando con il cannone che raggiungeva un massimo di sette colpi, ma Benito provò a spararne l’ottavo e si ferì alla gamba destra e a portarlo in salvo nell’ospedale di Doberdò furono il mio bisnonno ed un Fattore che all’epoca era anche Caporal Maggiore.

Mussolini arrivò al pranzo in auto, era in divisa, la famiglia lo accolse e lo fece in qualche modo sentire a casa sua.

L’aria non era assolutamente tesa, anzi anche i ragazzi vennero integrati nei loro discorsi e parteciparono attivamente a quell’evento.

Al pranzo parteciparono inoltre il direttore e il vicedirettore dell’Opera Nazionale Combattenti.

Una frase che rimase impressa a mio nonno Ottavio detta da Benito fu: “Ragazzo mio, è proprio grazie a queste meravigliose braccia che tutto questo è stato possibile, un grazie a voi e a tutte le meravigliose famiglie di questo territorio”.

Al termine del convivio Benito consegnò alla mia bisnonna una busta bianca contenente 1.000 lire, ringraziandola dell’accoglienza,

UNA FORTUNA ALL’EPOCA!

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