“Perché Sabaudia” di Daniela Carfagna
Sabaudia con il suo mare cristallino e trasparente, una spiaggia dorata lunga 20 Km, che in primavera, quasi per miracolo, si tinge di rosa, di giallo e di bianco, l’ombra di querce centenarie, che numerose vivono nel Parco Nazionale, i sentieri rocciosi del promontorio del Circeo, le lunghe passeggiate in bicicletta lungo i percorsi che aironi e martin pescatori hanno scelto come oasi di sosta durante i loro lunghi voli, rappresenta un luogo ideale in cui vivere e riposarsi, ma Sabaudia non è solo questo, è anche immergersi nel passato tra mitiche maghe e imperiali memorie di fasti romani ormai perduti,
solcare il mare e approdare nell’isola di Zannone, unica perla disabitata dell’arcipelago pontino, ancora intatta e incontaminata, visitare antichi romitori dove anche i templari soggiornarono.
Sabaudia è vivere la modernità dell’architettura, scoprire nelle piazze gli scorci metafisici alla De Chirico, respirare il silenzio di una bianca città rotto solo dal canto degli uccelli, che scrittori famosi e registi ancor più prestigiosi hanno strappato all’oblio in cui per decenni è rimasta rinchiusa, a causa del suo “peccato originale”: essere una città di fondazione.
Non a caso Pier Paolo Pasolini parlando di Sabaudia, in una nota intervista televisiva, diceva: eccoci di fronte alla struttura, la forma, il profilo di una città immersa in una specie di luce lagunare benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea. Quanto abbiamo riso, noi intellettuali, dell’architettura del regime, sulle città come Sabaudia. Eppure adesso queste città le troviamo assolutamente inaspettate… la sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo…
Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante, non trova le sue radici nel regime che l’ha ordinata, ma trova le sue radici in quelle realtà che il fascismo ha dominato… ma che non è riuscita a scalfire… è quella realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleoindustriale che ha prodotto Sabaudia, non il fascismo…
E Bernardo Bertolucci, non da meno, ricorda: “nel 1958, io avevo 17 anni. Moravia chiamò mio padre e gli disse: perché non mi accompagni, vado a cercare una casa sul lungomare di Sabaudia, sulle dune e mio padre porta anche me. Veniamo qui, il posto è bellissimo, in realtà non molto diverso da oggi perché qui per fortuna a un certo punto hanno smesso di fare case…Tornando ci fermiamo a Sabaudia a bere un caffè, e mi ricordo come Alberto, mio padre (ed io anche imitandoli), proprio fossero offesi dalla bruttezza dell’architettura fascista di Sabaudia.
Flash in avanti, vent’anni dopo ’78. Io giro La Luna, proprio in questa spiaggia, e miracolosamente Sabaudia che era l’orribile architettura fascista, è diventata bellissima. Sono i misteri dell’evoluzione del gusto, nel ’58 l’estetica non bastava a salvare il luogo, c’era il ricordo storico” ( “Un cielo pieno di cultura” Legenda Aurea, Sabaudia 2003)
Oggi che quel ricordo si è pian piano stemperato e forse con più obiettività si cerca di analizzare quanto è stato effettivamente realizzato, vale la pena sottolineare che Sabaudia è divenuta tra le più note città di fondazione anche in campo internazionale, grazie al felice connubio del suo impianto urbanistico ed un ambiente naturale del tutto eccezionale.
Così , l’ Associazione DO.CO.MO.MO Italia nel 1996 ha inserito il suo complesso edilizio e urbanistico nell’elenco delle 18 opere italiane più significative del ‘900, da includere nel programma DO.CO.MO.MO International, per una selezione del patrimonio moderno internazionale.
Nata come città rurale, porge le spalle al mare e si affaccia sulla pianura Pontina e verso il Parco Nazionale del Circeo, 8000 ettari di foresta planiziaria dell’antica Selva di Terracina salvata nel 1934 dall’abbattimento, una delle più grandi d’Europa.
Doveva essere un centro di servizi per la campagna circostante.
Erano previsti il municipio, la chiesa con annessa casa delle suore, l’ospedale, la maternità e infanzia, il cinema teatro, la casa delle associazioni combattentistiche, la casa del fascio, l’albergo, le poste e telegrafi (caratterizzata dalle tessere blu Savoia,
omaggio alla casa regnante di cui la città porta il nome), la caserma dei carabinieri, il campo sportivo, l’ippodromo, le scuole (con biblioteca, palestra e sala scherma), il cimitero, oltre naturalmente negozi, case di abitazione, uffici e direzione dell’Opera Nazionale Combattenti (ente che curò l’appoderamento e la costruzione della città), il serbatoio idrico, l’edificio destinato alla milizia volontaria di sicurezza nazionale e alla milizia portuaria, opere oggi destinate alla Marina Militare, il macello e il mercato coperto.
La città, divisa in quattro quadranti dai due assi viari principali: il cardo e decumano, di chiara ispirazione romana, a cui si sovrappone la concezione medioevale della città basata sul sistema di torri e piazze che scandiscono le istituzioni e i diversi luoghi del potere, nonché il moderno riutilizzo dei materiali di costruzione della tradizione italica, quali il laterizio e il marmo, rimane inalterata e permette la sua lettura in modo preciso e puntuale, a differenza di molti altri centri in cui questo non è avvenuto.
I tetti a terrazza, i colori caldi e mediterranei, la vicinanza con Roma e Napoli e al tempo stesso la sua sede decentrata rispetto alle vie di comunicazione più importanti, ne fanno un piccolo gioiello da conservare e preservare per le generazioni future.
Non dobbiamo dimenticare che era il periodo della battaglia del grano, della ruralizzazione forzata, dell’autarchia agricola che si contrapponeva alle concezioni che privilegiavano la concentrazione del proletariato nelle metropoli urbane ed industriali.
L’aver strappato “alla mortifera palude” migliaia di ettari coltivabili, inoltre, era una vittoria di cui né imperatori romani, né papi, né conquistatori, come Napoleone, avevano potuto fregiarsi.
Tuttavia la posizione incantevole del luogo e le sue bellezze paesaggistiche ben presto ne hanno cambiato la vocazione e così da sito per pastori transumanti prima e centro di servizi per l’agricoltura poi, si è trasformata in cittadina a vocazione turistica e sportiva.
Quel mare a cui la città voltava le spalle, divenuto elemento fondamentale di richiamo, viene collegato con il ponte Giovanni XXIII, progettato da Riccardo Morandi, ma già previsto nel piano del ’33. L’opera costruita nel 1962 viene inaugurata tre anni più tardi.
Negli anni del boom edilizio ed economico intorno alla città sorgono numerose le lottizzazioni che accolgono le residenze estive, anche una parte della duna viene costruita con la realizzazione di sontuose ville, come quella del Conte Volpi di Misurata, o le splendide realizzazioni di Michele Busiri Vici.
Il fenomeno, fortunatamente è interrotto a seguito dell’adozione del piano regolatore generale di Sabaudia, redatto nel 1972 da Luigi Piccinato, da Eugenio Montuori e da Martino Taviano. A quel tempo, afferma in una nota Nello Ialongo, sindaco dell’epoca dei fatti di cui stiamo parlando, il provvedimento, del tutto inedito, di tutela assoluta delle coste del mare e dei laghi fu considerato, dalle persone più avvertite, lungimirante ed estremamente urgente, mentre trovò del tutto impreparata l’opinione pubblica cittadina. Infatti l’Amministrazione Comunale di allora subì numerose e vivaci proteste…
Vale la pena sottolineare che a differenza di tanti scempi perpetrati sui litorali limitrofi, dove il caos e l’abusivismo edilizio l’hanno fatta da padrone, nelle opere di Busiri Vici l’architettura e il paesaggio risultano perfettamente integrati, tant’è che il costruito pervade il territorio circostante e la natura entra prepotentemente entro la spazialità dell’abitare in un ricco sincretismo di colori, immagini ed elementi architettonici di spiccata matrice mediterranea.
L’edilizia legata al fenomeno della seconda casa, andando ad occupare prevalentemente il territorio a margine della città, ha consentito la perfetta conservazione del centro storico e dell’assetto urbanistico realizzato da Cancellotti, Montuori, Piccinato e Scalpelli, ne ha, però, eroso un territorio di pregio e assolutamente importante per l’assetto agricolo organizzato e progettato con la bonifica. E’ quindi necessario interrompere l’utilizzo e la cementificazione indiscriminata del territorio a favore della costruzione di piccoli alberghi e pensioni. Urbanizzare la campagna infatti non crea sviluppo, ma esattamente il suo contrario. Negli anni ’60 sull’onda del boom, della corsa alla industrializzazione, dell’abbandono delle campagne, non si è avuta la lungimiranza e la consapevolezza di quanto fosse importante la tutela dell’edificio “podere” sia nelle caratteristiche architettoniche, che nell’impianto rurale.
Oggi, se vi avessimo provveduto, avremmo avuto un territorio straordinario in cui il verde delle colture e l’acqua dei canali, molti navigabili, avrebbero potuto, insieme all’impianto architettonico della città, richiamare turisti da tutto il mondo.
Ma come si dice “non si può piangere sul latte versato” si deve con coraggio cambiare rotta e, con intelligenza e perseveranza, salvare il salvabile senza incertezze e senza indugi.
Solo così Sabaudia potrà rimanere un dolce poema, forse un po’ romantica, pieno di buon gusto segno evidente di amore (Le Corbusier).