“Quella terra promessa”, il libro che celebra i 90 anni di Borgo Montenero
Un libro che racconta i 90 anni di Borgo Montenero: ecco come questa piccola grande comunità del borgo di fondazione, realizzato dal regime fascista durante l’opera di bonifica idraulica delle Paludi Pontine, ha voluto celebrare l’importante traguardo.
Il libro si intitola ‘Quella terra promessa’ (Edizioni Drawup), è patrocinato e sostenuto dalla Regione Lazio e Arsial, Comune di San Felice Circeo e Insieme 90, l’associazione del borgo che organizza i festeggiamenti, ed è stato curato dal giornalista e scrittore Gian Luca Campagna.
Siamo nel 1934, siamo nelle Paludi Pontine e questo sarà l’ultimo intervento di bonifica del regime nell’Agro Pontino. Chiamate all’opera di bonifica e redenzione della terra saranno le famiglie venete, friulane ed emiliane, cui verranno assegnati i poderi e la terra da coltivare a grano e mais. Il libro nelle 188 pagine racconta la storia delle famiglie di coloni che vennero giù in Palude con la viva voce dei protagonisti, oggi ultranovantenni, che hanno ricordato i vari momenti che hanno scandito la storia di una comunità mosaico, che nel Dopoguerra vedrà la successiva immigrazione di gente campana, agricoltori che permetteranno al comparto di fare un ulteriore salto di qualità, ampliando le coltivazioni dal granoturco, tabacco, cotone e bagigi a cocomeri e ortaggi, oggi esportati in tutto il mondo, come le eccellenti qualità di zucchino scuro e cavolo rapa.
In questo libro troviamo anche la storia dei vari tentativi di bonifica delle Paludi Pontine, i rigorosi piani urbanistici utilizzati dagli architetti incaricati, le condizioni di vita della gente che abitava queste lande desolate da secoli, ma la vera richezza del testo restano i racconti e le testimonianze, con le interviste a chi ha vissuto i momenti più intensi della storia dei 90 anni del Borgo: dai vivi ricordi degli ultranovantenni che il 24 dicembre 1935 da diversi paesini veneti vennero con le famiglie per vedersi assegnare un podere alla fucilazione di 5 terracinesi da parte dei nazisti nel maggio del 1944 passando per i vari periodi vissuti da questa comunità sempre coesa, che ha visto il proprio faro nella parrocchia di San Francesco d’Assisi, tant’è che il parroco per i borghigiani ha sempre rappresentato un solido punto di riferimento.
Il progetto è stato realizzato grazie all’impegno del vicesindaco di San Felice Circeo Luigi Di Somma, borghigiano doc, e di Francesco Cucchiaro, presidente dell’associazione Insieme 90. “Sono fiero di aver contribuito a realizzare questo libro, perché i libri fissano momenti eterni, sono testimoni del passato e tramandano alle nuove generazioni i sacrifici e i sogni di chi ha lavorato una terra dove prima c’erano solo acquitrini e morte. La comunità di Borgo Montenero ha un forte senso d’appartenenza perché ancora oggi il legame tra i primi coloni e i giovanissimi è saldo e ciò fa di questa comunità un luogo unico” dichiara Luigi Di Somma.
“In questo libro troverete i 90 anni di un borgo che è la Storia dell’Agro Pontino redento, le sue linee architettoniche che sono quelle di un gruppo di visionari, la sua campagna coltivata che appartiene alla politica agraria di un regime autarchico, ma anche il sacrificio di chi in quelle Paludi ha trovato la morte per prosciugarle. E troverete anche gente unica che sognava di continuare a vivere con un minimo di dignità in un momento nero della vita dell’Italia e della loro, perché ognuno è figlio della sua epoca, e i giudizi degli ideologi dell’oggi che non sanno contestualizzare lo ieri lasciano perplessi quanto i pregiudizi. Così, quando il caso e la volontà ti mettono davanti la stesura di un libro che riguarda la storia di un microcosmo dell’Agro Pontino non puoi che far ricorso a tutti quei sentieri narrativi che hai battuto. E capisci che quegli spazi vuoti, di campagna e di città, sono stati creati per essere riempiti. Borgo Montenero mi ha sempre affascinato, perché oggi è terra slovena, perché è figlia di un’altra Italia, di un’immigrazione al contrario prima che il Sud andasse al Nord, perché qui il mosaico di famiglie friulane e venete s’è fuso con quelle campane, perché il ritmo è rimasto lento e compassato come fosse una classica vita di città di provincia, perché c’è la campagna fertile, perché c’è il profumo del mare, perché c’è la geometria ordinata degli edifici. Perché la gente è rimasta autentica” dice Gian Luca Campagna.